2 luglio 1566. Muore Nostradamus, lo scriba del futuro e delle paure umane.

Il 2 luglio 1566, Nostradamus muore nella sua casa di Salon-de-Provence, nel sud della Francia.
Ha 62 anni.
Da tempo soffre di artrite e di una grave forma di idropisia.
Ma fino all’ultimo continua a scrivere, osservare il cielo, raccogliere simboli, segnali, numeri.
Con lui si spegne un uomo inquieto, enigmatico, fragile e geniale.
Una figura che attraversa i secoli sospesa tra scienza e mistero.
Nostradamus non è solo un profeta.
È un medico.
Un umanista.
Un uomo che cerca nel caos del mondo un disegno, anche quando la fede e la ragione sembrano non bastare.
Nostradamus, dal dolore personale alla visione universale
Nostradamus, pseudonimo di Michel de Nostredame, nasce nel 1503 a Saint-Rémy-de-Provence, in una famiglia di ebrei convertiti.
Fin da giovane studia medicina e astrologia.
Durante le grandi epidemie si dedica alla cura dei malati, spesso a mani nude.
Perde la moglie e i figli a causa della peste.
Quel dolore non lo abbandona più.
Ed è forse proprio da lì, da quella ferita, che nasce il bisogno di cercare senso nel disordine.
Compone almanacchi, calcoli astrali, testi scientifici.
Ma ciò che lo rende immortale sono le Centurie, una raccolta di quartine oscure e affascinanti che iniziano a circolare nel 1555.
Scrive in un linguaggio criptico, pieno di anagrammi, simboli e ambiguità.
Per alcuni è un veggente, per altri un ciarlatano.
Ma chi lo legge sente qualcosa.
Un tremore.
Una possibilità.
Molti gli attribuiscono profezie su guerre, regicidi, catastrofi naturali, rivoluzioni.
Alcuni lo leggono per gioco.
Altri con timore.
Ma pochi restano indifferenti.
L’ultimo giorno
Si dice che Nostradamus predica la sua stessa morte, indicando il giorno esatto.
Il 2 luglio 1566, muore nel sonno.
Viene sepolto a Salon, in una cappella francescana.
Durante la Rivoluzione francese, il suo corpo viene riesumato e spostato.
Anche dopo la morte, la sua figura continua a inquietare e affascinare.
Oggi, le sue profezie fanno ancora discutere.
Ma forse, al di là delle interpretazioni, resta il bisogno profondo che lui incarna:
quello di dare un nome all’incertezza.
Il 2 luglio 1566, Nostradamus muore nella sua casa di Salon-de-Provence, nel sud della Francia.
Ha 62 anni.
Da tempo soffre di artrite e di una grave forma di idropisia.
Ma fino all’ultimo continua a scrivere, osservare il cielo, raccogliere simboli, segnali, numeri.
Con lui si spegne un uomo inquieto, enigmatico, fragile e geniale.
Una figura che attraversa i secoli sospesa tra scienza e mistero.
Nostradamus non è solo un profeta.
È un medico.
Un umanista.
Un uomo che cerca nel caos del mondo un disegno, anche quando la fede e la ragione sembrano non bastare.
Nostradamus, dal dolore personale alla visione universale
Nostradamus, pseudonimo di Michel de Nostredame, nasce nel 1503 a Saint-Rémy-de-Provence, in una famiglia di ebrei convertiti.
Fin da giovane studia medicina e astrologia.
Durante le grandi epidemie si dedica alla cura dei malati, spesso a mani nude.
Perde la moglie e i figli a causa della peste.
Quel dolore non lo abbandona più.
Ed è forse proprio da lì, da quella ferita, che nasce il bisogno di cercare senso nel disordine.
Compone almanacchi, calcoli astrali, testi scientifici.
Ma ciò che lo rende immortale sono le Centurie, una raccolta di quartine oscure e affascinanti che iniziano a circolare nel 1555.
Scrive in un linguaggio criptico, pieno di anagrammi, simboli e ambiguità.
Per alcuni è un veggente, per altri un ciarlatano.
Ma chi lo legge sente qualcosa.
Un tremore.
Una possibilità.
Molti gli attribuiscono profezie su guerre, regicidi, catastrofi naturali, rivoluzioni.
Alcuni lo leggono per gioco.
Altri con timore.
Ma pochi restano indifferenti.
L’ultimo giorno
Si dice che Nostradamus predica la sua stessa morte, indicando il giorno esatto.
Il 2 luglio 1566, muore nel sonno.
Viene sepolto a Salon, in una cappella francescana.
Durante la Rivoluzione francese, il suo corpo viene riesumato e spostato.
Anche dopo la morte, la sua figura continua a inquietare e affascinare.
Oggi, le sue profezie fanno ancora discutere.
Ma forse, al di là delle interpretazioni, resta il bisogno profondo che lui incarna:
quello di dare un nome all’incertezza.