27 maggio 1965. Muore Antonio Ligabue, il genio naïf dell’arte italiana.

Antonio Ligabue nasce a Zurigo il 18 dicembre 1899.
Il suo nome anagrafico è Antonio Laccabue, ma adotterà quello della madre naturale solo più tardi.
Fin da subito, la sua vita è segnata dall’abbandono, dalla malattia e da un’infanzia difficile.
La Svizzera lo espelle nel 1919 e Ligabue si ritrova a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, in una terra che non conosce, ma che impara a sentire sua.
Vive da emarginato, in baracche, lungo il Po, accompagnato solo dagli animali che ama e osserva con uno sguardo acuto e febbrile.
È autodidatta, eppure la pittura diventa la sua voce, il suo rifugio, la sua vendetta poetica contro il dolore.
Antonio Ligabue, un’arte feroce e luminosa
I suoi quadri colpiscono per la forza primitiva e l’intensità emotiva.
Ligabue dipinge tigri, leoni, galli, cervi, scene di caccia e autoritratti inquieti.
Il colore esplode in pennellate cariche di energia, i soggetti sembrano urlare silenziosamente la loro verità.
Non segue regole accademiche, ma sviluppa un linguaggio personale, istintivo, che verrà riconosciuto come una delle voci più potenti dell’arte naïf europea.
Nella sua pittura convivono la fragilità dell’uomo e la ferocia della natura.
Dopo anni di isolamento, arriva finalmente la notorietà.
Nel 1961, una grande mostra personale a Roma lo consacra tra gli artisti più originali del Novecento italiano.
Il pubblico scopre un uomo schivo ma autentico, e inizia a guardare con occhi nuovi le sue tele fino ad allora ignorate.
La morte e il ricordo
Antonio Ligabue muore il 27 maggio 1965 all’ospedale di Gualtieri.
Viene sepolto nel cimitero locale, e oggi la sua tomba è meta di tanti visitatori che vogliono rendergli omaggio.
Non risulta un epitaffio ufficiale, ma ogni suo dipinto resta come una frase incisa nell’immaginario collettivo.
La sua arte continua a vivere in mostre, musei, film e pubblicazioni.
Oggi Ligabue è considerato un gigante solitario dell’arte italiana, capace di trasformare la sofferenza in visione.
Con le sue mani sporche di terra e colore, ha dipinto l’anima dell’uomo, feroce e splendida come una tigre in gabbia.
Antonio Ligabue nasce a Zurigo il 18 dicembre 1899.
Il suo nome anagrafico è Antonio Laccabue, ma adotterà quello della madre naturale solo più tardi.
Fin da subito, la sua vita è segnata dall’abbandono, dalla malattia e da un’infanzia difficile.
La Svizzera lo espelle nel 1919 e Ligabue si ritrova a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, in una terra che non conosce, ma che impara a sentire sua.
Vive da emarginato, in baracche, lungo il Po, accompagnato solo dagli animali che ama e osserva con uno sguardo acuto e febbrile.
È autodidatta, eppure la pittura diventa la sua voce, il suo rifugio, la sua vendetta poetica contro il dolore.
Antonio Ligabue, un’arte feroce e luminosa
I suoi quadri colpiscono per la forza primitiva e l’intensità emotiva.
Ligabue dipinge tigri, leoni, galli, cervi, scene di caccia e autoritratti inquieti.
Il colore esplode in pennellate cariche di energia, i soggetti sembrano urlare silenziosamente la loro verità.
Non segue regole accademiche, ma sviluppa un linguaggio personale, istintivo, che verrà riconosciuto come una delle voci più potenti dell’arte naïf europea.
Nella sua pittura convivono la fragilità dell’uomo e la ferocia della natura.
Dopo anni di isolamento, arriva finalmente la notorietà.
Nel 1961, una grande mostra personale a Roma lo consacra tra gli artisti più originali del Novecento italiano.
Il pubblico scopre un uomo schivo ma autentico, e inizia a guardare con occhi nuovi le sue tele fino ad allora ignorate.
La morte e il ricordo
Antonio Ligabue muore il 27 maggio 1965 all’ospedale di Gualtieri.
Viene sepolto nel cimitero locale, e oggi la sua tomba è meta di tanti visitatori che vogliono rendergli omaggio.
Non risulta un epitaffio ufficiale, ma ogni suo dipinto resta come una frase incisa nell’immaginario collettivo.
La sua arte continua a vivere in mostre, musei, film e pubblicazioni.
Oggi Ligabue è considerato un gigante solitario dell’arte italiana, capace di trasformare la sofferenza in visione.
Con le sue mani sporche di terra e colore, ha dipinto l’anima dell’uomo, feroce e splendida come una tigre in gabbia.