“Gitanjali” canto n.96 di Rabindranath Tagore.

Il commiato è un momento particolare nella vita degli esseri umani, carico di emozioni e significati profondi.
Il commiato “segna” il tempo del saluto.
E in particolare il commiato funebre avvolge quel tempo sospeso che è il lasciar andare verso un’altra dimensione chi abbiamo amato.
Attraverso poesie, citazioni e brani scelti con cura, questa rubrica settimanale *Citazioni per il Commiato* vuole offrire un piccolo spazio di riflessione, conforto, memoria e ispirazione alla bellezza.
Che sia per ricordare chi non c’è più o per trovare un momento di intima connessione con se stessi.
Rabindranath Tagore e l’arte dell’addio
Rabindranath Tagore nasce a Calcutta nel 1861.
Poeta, musicista, drammaturgo e filosofo, diventa nel 1913 il primo autore non europeo a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura.
La sua opera Gitanjali, che in sanscrito significa “offerta di canti”, raccoglie componimenti poetici intrisi di spiritualità, amore per la natura e contemplazione dell’invisibile.
Il canto n. 96 rappresenta un autentico congedo poetico, un saluto riconoscente rivolto al mondo visibile e invisibile.
Ogni verso è un passo verso l’accettazione, un invito alla pace.
Gitanjali, canto n.96
di Rabindranath Tagore
Quando me ne andrò di qui
chiamerò insuperabile ciò che ho visto.
Siano queste le mie parole di addio.
Ho assaporato il miele nascosto di questo loto*
che dilaga in un oceano di luce e ne sono stato benedetto.
Siano queste le mie parole di addio.
Ho recitato la mia parte
in questo teatro multiforme e ho assistito allo spettacolo
di colui che non ha forma.
Un brivido mi ha percorso il corpo e le membra
al tocco di colui che sfugge a qualsiasi tocco
e se la fine è qui
che venga.
Siano queste le mie parole d’addio.
Gratitudine e accoglienza
Con questi versi, Rabindranath Tagore offre una visione della morte come prosecuzione della bellezza vissuta.
Non c’è paura né dolore, ma stupore, pienezza e abbandono fiducioso.
Il poeta riconosce la sacralità della vita e la trasforma in un ultimo dono, in parole che restano sospese nell’aria, leggere e profonde.
Una lettura perfetta per chi desidera accompagnare il saluto con un messaggio di gratitudine e di pace.
Il commiato è un momento particolare nella vita degli esseri umani, carico di emozioni e significati profondi.
Il commiato “segna” il tempo del saluto.
E in particolare il commiato funebre avvolge quel tempo sospeso che è il lasciar andare verso un’altra dimensione chi abbiamo amato.
Attraverso poesie, citazioni e brani scelti con cura, questa rubrica settimanale *Citazioni per il Commiato* vuole offrire un piccolo spazio di riflessione, conforto, memoria e ispirazione alla bellezza.
Che sia per ricordare chi non c’è più o per trovare un momento di intima connessione con se stessi.
Rabindranath Tagore e l’arte dell’addio
Rabindranath Tagore nasce a Calcutta nel 1861.
Poeta, musicista, drammaturgo e filosofo, diventa nel 1913 il primo autore non europeo a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura.
La sua opera Gitanjali, che in sanscrito significa “offerta di canti”, raccoglie componimenti poetici intrisi di spiritualità, amore per la natura e contemplazione dell’invisibile.
Il canto n. 96 rappresenta un autentico congedo poetico, un saluto riconoscente rivolto al mondo visibile e invisibile.
Ogni verso è un passo verso l’accettazione, un invito alla pace.
Gitanjali, canto n.96
di Rabindranath Tagore
Quando me ne andrò di qui
chiamerò insuperabile ciò che ho visto.
Siano queste le mie parole di addio.
Ho assaporato il miele nascosto di questo loto*
che dilaga in un oceano di luce e ne sono stato benedetto.
Siano queste le mie parole di addio.
Ho recitato la mia parte
in questo teatro multiforme e ho assistito allo spettacolo
di colui che non ha forma.
Un brivido mi ha percorso il corpo e le membra
al tocco di colui che sfugge a qualsiasi tocco
e se la fine è qui
che venga.
Siano queste le mie parole d’addio.
Gratitudine e accoglienza
Con questi versi, Rabindranath Tagore offre una visione della morte come prosecuzione della bellezza vissuta.
Non c’è paura né dolore, ma stupore, pienezza e abbandono fiducioso.
Il poeta riconosce la sacralità della vita e la trasforma in un ultimo dono, in parole che restano sospese nell’aria, leggere e profonde.
Una lettura perfetta per chi desidera accompagnare il saluto con un messaggio di gratitudine e di pace.

















































































