Corajisima: la bambola “luttuosa” che penzola dai balconi in Calabria.

Corajisima: un’antica tradizione tra paganesimo, fede e contrizione.
Avete mai visto una bambola penzolare dai balconi durante il periodo quaresimale in Calabria?
Si chiama Corajisima, e rappresenta un’antichissima tradizione che un tempo animava i borghi calabresi nel periodo tra il Carnevale e la Pasqua.
Una tradizione che oggi rischia di scomparire, ma che conserva un forte valore simbolico e culturale.
La Corajisima: quando compare e cosa rappresenta
La Corajisima appare nella notte del Mercoledì delle Ceneri, subito dopo la “morte” di Re Carnevale.
Veniva esposta davanti alle case o appesa ai balconi, specialmente nei piccoli paesi dell’entroterra calabrese.
È una bambola di pezza, realizzata con vecchi stracci e dotata di un piccolo corpo sorretto da un bastoncino infilato in un frutto – limone, arancia, fico secco o anche una patata.
Il suo aspetto lugubre, il suo vestito di nero ne fanno la rappresentazione del tempo di lutto e dell’attesa.
Un fuso in mano e un frutto per calendario
La Corajisima porta sempre con sé un fuso con il filo, simbolo dello scorrere del tempo.
Nel frutto alla base vengono infilate sette penne di gallina (sei bianche e una nera), che rappresentano le sette settimane di Quaresima.
Ogni domenica, dopo la messa, le donne staccavano una penna contando così il tempo che mancava alla Pasqua.
Simbolo di astinenza e rigore
La Corajisima non era solo decorativa: rappresentava un codice morale da rispettare durante la Quaresima.
Simbolizzava l’astinenza dalla carne e dai piaceri, ma anche una serie di divieti pratici e sociali, soprattutto per le donne:
-
niente dolci, carne di maiale, cucine elaborate
-
niente pulizie, ricami, né acconciarsi i capelli
-
niente “civetterie” che potessero indurre in tentazione
Un vero e proprio tempo di sospensione e rigore, di lutto e attesa in preparazione alla Pasqua.
Il rogo finale per scacciare gli spiriti
La Corajisima veniva tolta durante la Settimana Santa.
La Domenica di Pasqua, dopo aver staccato l’ultima penna, la bambola veniva bruciata.
Il rogo, profumato dal frutto su cui poggiava, aveva il valore simbolico di purificazione e rinascita, per scacciare il male e accogliere la Resurrezione.
La leggenda della Corajisima e il timore dei bambini
Una leggenda popolare, raccontata ancora oggi ad in diversi borghi della Calabria, diceva che la Corajisima “cucinava ‘u cannaruazzu”, ovvero la gola dei bambini che trasgredivano le regole.
Si narrava che la bambola custodisse grandi pentoloni in cui far bollire l’acqua per punire chi osava mangiare carne o dolci.
Un racconto spaventoso, ma efficace, per educare i più piccoli alla rinuncia.
Dove si può ancora vedere oggi
Oggi la Corajisima è quasi scomparsa, ma sopravvive in alcune comunità che ne riscoprono l’importanza culturale.
Può ancora essere avvistata a Bova, Caulonia, Amaroni, San Floro, Rota Greca, e in alcuni paesini delle province di Vibo Valentia, Reggio Calabria e Catanzaro.
Nel piccolo borgo di Civita, nella comunità Arbëreshë, troviamo la sua “parente”: la Kreshmeza, una bambola nera vestita a lutto, anch’essa bruciata il giorno di Pasqua.
La Corajisima è, dunque, rappresentazione di una condizione di “morte” in attesa di “rinascita” che unisce radici pagane, cristiane e familiari.
Se vi capita di visitare un borgo calabrese a ridosso della Pasqua, alzate gli occhi ai balconi: potreste imbattervi in una Corajisima, custode silenziosa di un tempo che resiste.
Laura Persico Pezzino
Corajisima: un’antica tradizione tra paganesimo, fede e contrizione.
Avete mai visto una bambola penzolare dai balconi durante il periodo quaresimale in Calabria?
Si chiama Corajisima, e rappresenta un’antichissima tradizione che un tempo animava i borghi calabresi nel periodo tra il Carnevale e la Pasqua.
Una tradizione che oggi rischia di scomparire, ma che conserva un forte valore simbolico e culturale.
La Corajisima: quando compare e cosa rappresenta
La Corajisima appare nella notte del Mercoledì delle Ceneri, subito dopo la “morte” di Re Carnevale.
Veniva esposta davanti alle case o appesa ai balconi, specialmente nei piccoli paesi dell’entroterra calabrese.
È una bambola di pezza, realizzata con vecchi stracci e dotata di un piccolo corpo sorretto da un bastoncino infilato in un frutto – limone, arancia, fico secco o anche una patata.
Il suo aspetto lugubre, il suo vestito di nero ne fanno la rappresentazione del tempo di lutto e dell’attesa.
Un fuso in mano e un frutto per calendario
La Corajisima porta sempre con sé un fuso con il filo, simbolo dello scorrere del tempo.
Nel frutto alla base vengono infilate sette penne di gallina (sei bianche e una nera), che rappresentano le sette settimane di Quaresima.
Ogni domenica, dopo la messa, le donne staccavano una penna contando così il tempo che mancava alla Pasqua.
Simbolo di astinenza e rigore
La Corajisima non era solo decorativa: rappresentava un codice morale da rispettare durante la Quaresima.
Simbolizzava l’astinenza dalla carne e dai piaceri, ma anche una serie di divieti pratici e sociali, soprattutto per le donne:
-
niente dolci, carne di maiale, cucine elaborate
-
niente pulizie, ricami, né acconciarsi i capelli
-
niente “civetterie” che potessero indurre in tentazione
Un vero e proprio tempo di sospensione e rigore, di lutto e attesa in preparazione alla Pasqua.
Il rogo finale per scacciare gli spiriti
La Corajisima veniva tolta durante la Settimana Santa.
La Domenica di Pasqua, dopo aver staccato l’ultima penna, la bambola veniva bruciata.
Il rogo, profumato dal frutto su cui poggiava, aveva il valore simbolico di purificazione e rinascita, per scacciare il male e accogliere la Resurrezione.
La leggenda della Corajisima e il timore dei bambini
Una leggenda popolare, raccontata ancora oggi ad in diversi borghi della Calabria, diceva che la Corajisima “cucinava ‘u cannaruazzu”, ovvero la gola dei bambini che trasgredivano le regole.
Si narrava che la bambola custodisse grandi pentoloni in cui far bollire l’acqua per punire chi osava mangiare carne o dolci.
Un racconto spaventoso, ma efficace, per educare i più piccoli alla rinuncia.
Dove si può ancora vedere oggi
Oggi la Corajisima è quasi scomparsa, ma sopravvive in alcune comunità che ne riscoprono l’importanza culturale.
Può ancora essere avvistata a Bova, Caulonia, Amaroni, San Floro, Rota Greca, e in alcuni paesini delle province di Vibo Valentia, Reggio Calabria e Catanzaro.
Nel piccolo borgo di Civita, nella comunità Arbëreshë, troviamo la sua “parente”: la Kreshmeza, una bambola nera vestita a lutto, anch’essa bruciata il giorno di Pasqua.
La Corajisima è, dunque, rappresentazione di una condizione di “morte” in attesa di “rinascita” che unisce radici pagane, cristiane e familiari.
Se vi capita di visitare un borgo calabrese a ridosso della Pasqua, alzate gli occhi ai balconi: potreste imbattervi in una Corajisima, custode silenziosa di un tempo che resiste.
Laura Persico Pezzino