Oltre il buio: la Morte come fantasia nei film di Tim Burton.

Tim Burton, uno dei registi più affascinanti e visionari della cinematografia contemporanea, ha sempre avuto un approccio unico e talvolta inquietante al tema della morte. Se c’è un elemento che unisce i suoi film, è la costante riflessione sulla fine. La fragilità della vita e l’inesorabile arrivo della morte in Burton sono concetti conseguenziali. I suoi personaggi, spesso in bilico tra il mondo dei vivi e dei morti, ci parlano di una morte che non è solo tragica, ma anche poetica e assolutamente “umana”.
I Morti che camminano: la fine come una nuova vita
Un tema ricorrente nel cinema di Burton è la rappresentazione della morte come una transizione, non una fine definitiva. Ne è un esempio lampante il celebre film The Nightmare Before Christmas (1993), in cui il protagonista Jack Skellington, re di Halloween Town, cerca di superare il suo destino di “morto vivente” attraverso un’esplorazione di altre festività, cercando un senso di rinascita che lo porterà alla consapevolezza che la morte non è un limite, ma una parte integrante del ciclo della vita.
Il suo legame con la morte non è mai macabro nel senso più oscuro e spaventoso, ma piuttosto è una sorta di riappacificazione. Questo si riflette anche nei suoi personaggi di Beetlejuice (1988), dove i morti, rappresentati in forme grottesche e ironiche, sono ancora intrappolati in un limbo che mescola commedia e dramma. La morte, in Burton, è una condizione che permette ai personaggi di esplorare una nuova dimensione della propria identità, un’ulteriore forma di esistenza.
La Morte come metafora dell’inadeguatezza: Edward Mani di Forbice e la Solitudine
In Edward Scissorhands (1990), Burton esplora la morte in modo simbolico attraverso la solitudine e la separazione. Edward, un uomo creato dal suo inventore, è un’anomalia: vive tra i vivi, ma non è mai del tutto parte di loro, incapace di toccare o interagire senza causare danno. La sua esistenza, segnata dall’impossibilità di avere una vita normale, è metafora di una morte vivente, dove l’isolamento e il rifiuto lo rendono simile a una figura “morta”. Burton ci invita a riflettere su quanto spesso, nella vita quotidiana, ci sentiamo morti emotivamente a causa delle convenzioni sociali e dei legami mancanti.
La Morte come Creatura Fantastica: Corpse Bride e La Danza dei Morti
Nel 2005, Burton dirige Corpse Bride (La Sposa Cadavere), un film che porta al limite la sua riflessione sulla morte. In questo racconto, una giovane donna morta da tempo, ma ancora intrappolata nel mondo dei morti, desidera trovare il vero amore. La morte, in questo caso, è rappresentata come un regno popolato da creature che, pur non essendo più vive, possiedono una vitalità straordinaria. La bellezza della morte, nel film, è simbolizzata dalla danza dei cadaveri, dove i morti non sono solo esseri che hanno perso la vita, ma personaggi che vivono in una realtà alternativa, quasi incantata. Questo aspetto della morte, che si mescola con la bellezza e la libertà, è un altro dei temi ricorrenti di Burton.
La Morte e l’Amore: un tema universale
La morte, per Burton, è sempre intimamente legata all’amore. I suoi personaggi, morti o vivi, cercano un legame che trascenda il confine della vita e della morte. In Beetlejuice, la morte non separa i protagonisti, ma li spinge a formare un legame più forte di quanto avessero potuto sperimentare in vita. Così come in Sweeney Todd (2007), dove la vendetta e l’amore vengono intrecciati in una spirale di morte e distruzione, in un paesaggio di sangue che non fa altro che sottolineare quanto l’amore possa essere, paradossalmente, una forza che porta alla fine.
La Morte come viaggio senza fine
Tim Burton, dunque, non dipinge la morte come un destino tragico e spaventoso. Nei suoi film, la morte non è mai un nemico, ma una presenza che ci accompagna, che ci trasforma e ci definisce. I suoi personaggi sono esseri che vivono nella morte, che oscillano tra la vita e la morte, e questo spazio ambiguo è dove Burton esplora le sue tematiche più profonde: l’identità, l’amore, la solitudine e la bellezza. La morte, nelle sue mani, diventa un viaggio, un passaggio che non si esaurisce mai completamente, ma si trasforma, evolvendo in forme nuove e misteriose.
Nel 2023, Torino ha avuto l’onore di ospitare per la prima volta in Italia la mostra “The World of Tim Burton”, un’esperienza immersiva che ha portato il pubblico nel cuore dell’universo creativo del celebre regista. Allestita dal 11 ottobre 2023 al 7 aprile 2024 presso il Museo Nazionale del Cinema, situato nella storica Mole Antonelliana, la mostra ha offerto uno spunto privilegiato per esplorare il legame tra Burton e la morte. L’esposizione ha presentato oltre 500 opere originali, tra cui schizzi, dipinti, fotografie, storyboard, costumi e installazioni scultoree a grandezza naturale. Le dieci sezioni tematiche hanno guidato i visitatori attraverso l’evoluzione stilistica e narrativa del regista, mettendo in luce come la morte, nei suoi lavori, non sia mai un’assenza, ma una presenza che definisce e arricchisce la vita dei suoi personaggi. Questa mostra ha rappresentato non solo un’occasione per ammirare l’arte di Tim Burton, ma anche un’opportunità per riflettere sul suo approccio alla morte: una morte che non separa, ma unisce, che non distrugge, ma trasforma, rendendo ogni fine un nuovo inizio.
*Martina Cordioli
*Clicca qui per scoprire l’autrice di questo articolo
Foto di M. Cordioli
SITOGRAFIA:
IMDB
MOMA
Wikipedia
Tim Burton, uno dei registi più affascinanti e visionari della cinematografia contemporanea, ha sempre avuto un approccio unico e talvolta inquietante al tema della morte. Se c’è un elemento che unisce i suoi film, è la costante riflessione sulla fine. La fragilità della vita e l’inesorabile arrivo della morte in Burton sono concetti conseguenziali. I suoi personaggi, spesso in bilico tra il mondo dei vivi e dei morti, ci parlano di una morte che non è solo tragica, ma anche poetica e assolutamente “umana”.
I Morti che camminano: la fine come una nuova vita
Un tema ricorrente nel cinema di Burton è la rappresentazione della morte come una transizione, non una fine definitiva. Ne è un esempio lampante il celebre film The Nightmare Before Christmas (1993), in cui il protagonista Jack Skellington, re di Halloween Town, cerca di superare il suo destino di “morto vivente” attraverso un’esplorazione di altre festività, cercando un senso di rinascita che lo porterà alla consapevolezza che la morte non è un limite, ma una parte integrante del ciclo della vita.
Il suo legame con la morte non è mai macabro nel senso più oscuro e spaventoso, ma piuttosto è una sorta di riappacificazione. Questo si riflette anche nei suoi personaggi di Beetlejuice (1988), dove i morti, rappresentati in forme grottesche e ironiche, sono ancora intrappolati in un limbo che mescola commedia e dramma. La morte, in Burton, è una condizione che permette ai personaggi di esplorare una nuova dimensione della propria identità, un’ulteriore forma di esistenza.
La Morte come metafora dell’inadeguatezza: Edward Mani di Forbice e la Solitudine
In Edward Scissorhands (1990), Burton esplora la morte in modo simbolico attraverso la solitudine e la separazione. Edward, un uomo creato dal suo inventore, è un’anomalia: vive tra i vivi, ma non è mai del tutto parte di loro, incapace di toccare o interagire senza causare danno. La sua esistenza, segnata dall’impossibilità di avere una vita normale, è metafora di una morte vivente, dove l’isolamento e il rifiuto lo rendono simile a una figura “morta”. Burton ci invita a riflettere su quanto spesso, nella vita quotidiana, ci sentiamo morti emotivamente a causa delle convenzioni sociali e dei legami mancanti.
La Morte come Creatura Fantastica: Corpse Bride e La Danza dei Morti
Nel 2005, Burton dirige Corpse Bride (La Sposa Cadavere), un film che porta al limite la sua riflessione sulla morte. In questo racconto, una giovane donna morta da tempo, ma ancora intrappolata nel mondo dei morti, desidera trovare il vero amore. La morte, in questo caso, è rappresentata come un regno popolato da creature che, pur non essendo più vive, possiedono una vitalità straordinaria. La bellezza della morte, nel film, è simbolizzata dalla danza dei cadaveri, dove i morti non sono solo esseri che hanno perso la vita, ma personaggi che vivono in una realtà alternativa, quasi incantata. Questo aspetto della morte, che si mescola con la bellezza e la libertà, è un altro dei temi ricorrenti di Burton.
La Morte e l’Amore: un tema universale
La morte, per Burton, è sempre intimamente legata all’amore. I suoi personaggi, morti o vivi, cercano un legame che trascenda il confine della vita e della morte. In Beetlejuice, la morte non separa i protagonisti, ma li spinge a formare un legame più forte di quanto avessero potuto sperimentare in vita. Così come in Sweeney Todd (2007), dove la vendetta e l’amore vengono intrecciati in una spirale di morte e distruzione, in un paesaggio di sangue che non fa altro che sottolineare quanto l’amore possa essere, paradossalmente, una forza che porta alla fine.
La Morte come viaggio senza fine
Tim Burton, dunque, non dipinge la morte come un destino tragico e spaventoso. Nei suoi film, la morte non è mai un nemico, ma una presenza che ci accompagna, che ci trasforma e ci definisce. I suoi personaggi sono esseri che vivono nella morte, che oscillano tra la vita e la morte, e questo spazio ambiguo è dove Burton esplora le sue tematiche più profonde: l’identità, l’amore, la solitudine e la bellezza. La morte, nelle sue mani, diventa un viaggio, un passaggio che non si esaurisce mai completamente, ma si trasforma, evolvendo in forme nuove e misteriose.
Nel 2023, Torino ha avuto l’onore di ospitare per la prima volta in Italia la mostra “The World of Tim Burton”, un’esperienza immersiva che ha portato il pubblico nel cuore dell’universo creativo del celebre regista. Allestita dal 11 ottobre 2023 al 7 aprile 2024 presso il Museo Nazionale del Cinema, situato nella storica Mole Antonelliana, la mostra ha offerto uno spunto privilegiato per esplorare il legame tra Burton e la morte. L’esposizione ha presentato oltre 500 opere originali, tra cui schizzi, dipinti, fotografie, storyboard, costumi e installazioni scultoree a grandezza naturale. Le dieci sezioni tematiche hanno guidato i visitatori attraverso l’evoluzione stilistica e narrativa del regista, mettendo in luce come la morte, nei suoi lavori, non sia mai un’assenza, ma una presenza che definisce e arricchisce la vita dei suoi personaggi. Questa mostra ha rappresentato non solo un’occasione per ammirare l’arte di Tim Burton, ma anche un’opportunità per riflettere sul suo approccio alla morte: una morte che non separa, ma unisce, che non distrugge, ma trasforma, rendendo ogni fine un nuovo inizio.
*Martina Cordioli
*Clicca qui per scoprire l’autrice di questo articolo